lunedì 12 dicembre 2011

Un inizio senza un titolo.

Quante parole, quante parole scritte da così tanta gente ed esposte così, su internet, al pubblico apprezzamento o al pubblico ludibrio. Quanta gente tenta di sentirsi scrittore per cinque gloriosi minuti, pubblicando il miglior grappolo di frasi che gli sia mai riuscito di sputare fuori. E quanta gente scrive fingendo di non saper scrivere, perché fa più figo e, ancor peggio, quanta finge di non saper scrivere e non sa scrivere davvero e dopo 40 righe di tono colloquiale, in pieno stile giovanile, si illude di stenderti infilandoci il parolone, letterario, scientifico, estremamente tecnico... estremamente a sproposito. Quanto non ne posso più di tutta questa gente che se la tira, se la tira, ma non si sa bene rispetto a chi. Più si sta soli, più ci si convince di stare proteggendo se stessi da una dannosa moltitudine, pronta a ghermirci per condurci a fondo... Spesso si è soli e basta e nessuno è interessato a sentire gli egocentrici deliri della nostra solitudine. Noi però li scriviamo lo stesso, chissà che magari tutta questa bella, esasperata depressione non serva anche a qualcosa, alla fine. Io sto facendo lo stesso, forse. In realtà, non credo. Perché non sono più capace di scrivere, non mi riesce. Mi riscopro in grado di buttare giù un paio di righe decenti solo quando sono incazzata, incazzata di brutto, oppure immensamente triste, ma allora viene sempre fuori qualche sbrodolatura  iper -sentimentale, che attorciglia le proprie viscide spire intorno a nomi concreti, evitando sempre all'ultimo di pronunciarli, con un gusto voluttuoso per il crogiolarsi senza fine sempre sulle stesse domande senza risposta, sugli stessi dettagli dolorosi... Quindi meglio il momento incazzato, in cui almeno dico quello che penso senza abbellirlo con inutili fronzoli, e vaffanculo la concinnitas e vaffanculo Cicerone... Perché se si deve raccontare qualcosa, bisogna sempre cercare di inventare? Perché esagerare tutto, solo perché gli altri finiscano per invidiare persino le cause delle nostre sofferenze, perché immaginino che dobbiamo avere una vita dannatamente intensa e complessa? Abbiamo tutti un cazzo di vita normale, assolutamente normale. É la percezione che ognuno ha della vita ad essere diversa... e allora chi se ne frega di come un ipotetico lettore può interpretare quello che scriviamo? Se nelle nostre parole non trova nulla d'interessante, anche se c'abbiamo impresso l'anima, significa che non è neppure lontanamente sulla nostra stessa lunghezza d'onda...  A che pro tentare di accalappiarlo con inutili e falsi cinismi o reinventandosi personaggi da noir? 
La mia vita non è un circo, non è un caleidoscopio di uragani, vista dall'esterno. Sono io che la vivo come se ogni passo fosse il salto dalla cima di una cascata verso il fondo pieno di pietre aguzze, sono io che pronuncio ogni parola come se stessi per lanciarmi da un elicottero con il paracadute, io che mi tuffo nei sentimenti ogni volta con il cuore spalancato, pronto a risucchiare ogni goccia di'amore e a lasciarsi assorbire fino all'ultima briciola. Se raccontassi cosa mi fa palpitare e soffrire, nessuno lo troverebbe interessante... dovrei forse arricchirlo di qualche particolare inventato, qua e là, per accaparrarmi qualche sguardo interessato in più? Neanche per sogno... per me è già tutto abbastanza ingarbugliato così, che prima che decida di aggiungere un altro filo al groviglio in cui sono imprigionata, farò in tempo ad invecchiare... forse, solo allora, osservando i gomitoli srotolati della mia vita, saprò fare chiarezza e magari lancerò giù, dall'alto, un nuovo filo colorato, giusto per vedere che effetto fa. Ora no, non posso, non ce n'è bisogno. Per questo descrivo non quello che succede fuori ma ciò che accade dentro di me. Solo questo posso raccontare...

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