La malinconia più profonda e più dolce, familiare come una sorella, non ha nome, né volto. È la malinconia per ogni amore perduto e per ogni amore mai conosciuto. È la malinconia per l’amore che ora non si possiede e da cui si vorrebbe lasciarsi travolgere…È la spina che tortura il fianco delicatamente a ricordare il senso di vuoto latente, a sottolineare la mancanza di quella pienezza perfetta che la solitudine non ha armi per colmare. La malinconia è una compagna fedele, sa lasciare una traccia anche nei momenti più felici. È la scia di un passato di errori e desideri, di speranze e sogni che ancora si aspetta di realizzare. Non potrei vivere senza di lei, è quasi una linfa. Ormai non la temo più, perché so che sono io. È la dimensione in cui la mia capacità d’amare si fa più intensa e potente, più viva che in qualunque accecante felicità. È un assolo di pianoforte in un pezzo di Paolo Conte, sottolinea ogni cosa con stile e precisione… e, nonostante la sofferenza, sarebbe folle non accorgersi di quanto sia stupenda. È una tortura piacevole e lacerante. Le lacrime in fondo sono note musicali. Nessuna melodia potrebbe fare senza.
C'è una luce che non si spegne mai
domenica 11 marzo 2012
martedì 13 dicembre 2011
Il fumo disegna piccole volute bianche nell'oscurità. Il cielo è un tappeto di nuvole che riflette l'inquinamento luminoso, rubando l'integrità della notte. Non c'è poesia in questo cielo, tranne, forse, una strana specie di poesia disperata. Forse sono io, stordita dal fumo, che vedo una nota di disperazione negli scampoli di vita ancora in movimento, ritagliati dalle finestre. Le luci intermittenti degli alberi di Natale, visibili anche attraverso le tende, e le decorazioni in strada, come sorrisi spalancati su una discarica, mi sembrano solo evidenziare l'inutilità di tutta questa messa in scena, organizzata non si sa bene per chi. In questo momento di solitudine perfetta, in cui il silenzio è una dimensione diversa, quasi religiosa, perché l'unico vero silenzio è quello delle profondità notturne, quando anche le automobili hanno timore di essere troppo aggressive, i miei pensieri tracciano linee definite nell'aria. Li leggo senza muovere le labbra, suggestionata dalla potenza di questo silenzio perfetto. Solo il sibilo lieve della brace della sigaretta lo intacca appena, ma mi tiene compagnia.
lunedì 12 dicembre 2011
Un inizio senza un titolo.
Quante parole, quante parole scritte da così tanta gente ed esposte così, su internet, al pubblico apprezzamento o al pubblico ludibrio. Quanta gente tenta di sentirsi scrittore per cinque gloriosi minuti, pubblicando il miglior grappolo di frasi che gli sia mai riuscito di sputare fuori. E quanta gente scrive fingendo di non saper scrivere, perché fa più figo e, ancor peggio, quanta finge di non saper scrivere e non sa scrivere davvero e dopo 40 righe di tono colloquiale, in pieno stile giovanile, si illude di stenderti infilandoci il parolone, letterario, scientifico, estremamente tecnico... estremamente a sproposito. Quanto non ne posso più di tutta questa gente che se la tira, se la tira, ma non si sa bene rispetto a chi. Più si sta soli, più ci si convince di stare proteggendo se stessi da una dannosa moltitudine, pronta a ghermirci per condurci a fondo... Spesso si è soli e basta e nessuno è interessato a sentire gli egocentrici deliri della nostra solitudine. Noi però li scriviamo lo stesso, chissà che magari tutta questa bella, esasperata depressione non serva anche a qualcosa, alla fine. Io sto facendo lo stesso, forse. In realtà, non credo. Perché non sono più capace di scrivere, non mi riesce. Mi riscopro in grado di buttare giù un paio di righe decenti solo quando sono incazzata, incazzata di brutto, oppure immensamente triste, ma allora viene sempre fuori qualche sbrodolatura iper -sentimentale, che attorciglia le proprie viscide spire intorno a nomi concreti, evitando sempre all'ultimo di pronunciarli, con un gusto voluttuoso per il crogiolarsi senza fine sempre sulle stesse domande senza risposta, sugli stessi dettagli dolorosi... Quindi meglio il momento incazzato, in cui almeno dico quello che penso senza abbellirlo con inutili fronzoli, e vaffanculo la concinnitas e vaffanculo Cicerone... Perché se si deve raccontare qualcosa, bisogna sempre cercare di inventare? Perché esagerare tutto, solo perché gli altri finiscano per invidiare persino le cause delle nostre sofferenze, perché immaginino che dobbiamo avere una vita dannatamente intensa e complessa? Abbiamo tutti un cazzo di vita normale, assolutamente normale. É la percezione che ognuno ha della vita ad essere diversa... e allora chi se ne frega di come un ipotetico lettore può interpretare quello che scriviamo? Se nelle nostre parole non trova nulla d'interessante, anche se c'abbiamo impresso l'anima, significa che non è neppure lontanamente sulla nostra stessa lunghezza d'onda... A che pro tentare di accalappiarlo con inutili e falsi cinismi o reinventandosi personaggi da noir?
La mia vita non è un circo, non è un caleidoscopio di uragani, vista dall'esterno. Sono io che la vivo come se ogni passo fosse il salto dalla cima di una cascata verso il fondo pieno di pietre aguzze, sono io che pronuncio ogni parola come se stessi per lanciarmi da un elicottero con il paracadute, io che mi tuffo nei sentimenti ogni volta con il cuore spalancato, pronto a risucchiare ogni goccia di'amore e a lasciarsi assorbire fino all'ultima briciola. Se raccontassi cosa mi fa palpitare e soffrire, nessuno lo troverebbe interessante... dovrei forse arricchirlo di qualche particolare inventato, qua e là, per accaparrarmi qualche sguardo interessato in più? Neanche per sogno... per me è già tutto abbastanza ingarbugliato così, che prima che decida di aggiungere un altro filo al groviglio in cui sono imprigionata, farò in tempo ad invecchiare... forse, solo allora, osservando i gomitoli srotolati della mia vita, saprò fare chiarezza e magari lancerò giù, dall'alto, un nuovo filo colorato, giusto per vedere che effetto fa. Ora no, non posso, non ce n'è bisogno. Per questo descrivo non quello che succede fuori ma ciò che accade dentro di me. Solo questo posso raccontare...
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